LETTERA PASTORALE PER LA QUARESIMA 2016

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Romano Rossi Vescovo di Civita Castellana

Cari amici, chi era presente all’apertura della Porta Santa nelle quattro Chiese Giubilari della Diocesi porta nel cuore il ricordo di un’esperienza gioiosa e sorprendente. Nessuno si aspettava un numero così elevato di partecipanti né, tantomeno, un clima spirituale caratterizzato da tanto entusiasmo semplice e sincero. L’annuncio della misericordia ha fatto breccia nel cuore delle persone. Abbiamo visto tanta gente felice e orgogliosa di esserci, come se ci fosse da ricevere e da spartirsi un tesoro tanto prezioso quanto inatteso. Magari senza neppure avere le idee troppo chiare sul senso del Giubileo, sulla problematica delle Indulgenze, sul collegamento fra il grande evento e l’ordinario snodarsi della vita ecclesiale. Come se bastasse il termine “Misericordia” per aprire il cuore alla speranza e metterlo in movimento, pieno di fiducia e aperto alla inedita novità.

Tutto è misericordia Questi quattro eventi di inatteso e spontaneo convenire del popolo cristiano non saprei dire se costituiscano o meno il preludio di chissà quali clamorosi e visibili risultati per questo anno giubilare. D’altra parte, non credo che sia questo il problema essenziale. In un anno o in cinque anni o in sei mesi ciò che conta è che la comunità ecclesiale sappia interpretare e intercettare questo movimento di popolo, alimentando le provocazioni per continuare a porsi in ricerca, tenendo vive le attese e rafforzando la speranza che possano trovare accoglienza e riscontro. In numerosi interventi del Papa, in tanti suoi discorsi e in alcuni libri che lo vedono come autore, in tante catechesi e omelie che si tengono nelle Parrocchie, in numerose pubblicazioni della stampa cattolica che entra nelle nostre case, è tutto un parlare di misericordia. Sia come iniziativa unilaterale e gratuita di Dio che ci viene incontro in Gesù Cristo e, mediante l’azione dello Spirito Santo, ci fa nuove creature, suoi figli ed eredi della vita eterna. Sia come necessaria conseguenza di quel dono nei comportamenti dei cristiani che vivono da figli di Dio, riproducendo nelle scelte e nelle opere lo stesso stile del Signore: perdono, solidarietà, accoglienza, spirito di servizio. Lasciarsi amare da Dio e far tracimare questa grazia in una risposta di lode a Lui e di relazioni interpersonali sanate e purificate, nella Chiesa e nel mondo. In realtà, il cristianesimo è tutto qui. In questo, direbbe Gesù, consiste tutta la Legge e i Profeti, oltre che, potremmo aggiungere noi, tutto l’insegnamento degli Apostoli e degli Evangelisti. Con l’indizione improvvisa e inattesa del Giubileo, ma anche in continuità con tutto il suo Ministero da quando è diventato Vescovo di Roma, il Papa ha esplicitamente collocato al centro della vita della Chiesa il messaggio della misericordia come il segreto e il dono del cuore di Dio per la vita del mondo. D’altra parte, senza un tale fuoco vivo e palpitante, il cristianesimo perderebbe la sua stessa ragion d’essere e al mondo verrebbero meno plausibili ragioni per continuare a vivere e sperare. La salvezza non dipende in primo luogo dai nostri meriti e dalle condizioni che riusciamo ad adempiere per piacere a Dio. Egli ci ama, ci cerca, ci salva così come siamo, a prescindere da ogni altro titolo o prestazione da parte nostra.

 

Fare spazio attraverso la fede e la sincera apertura del cuore a questa offerta totalmente gratuita è l’unica, e insieme necessaria, forma di collaborazione che ci è richiesta, perché la vitalità di questo prodigio prenda corpo in noi, pervada tutto il nostro essere e si propaghi dintorno. La definizione di Dio come “Colui che è, che era e che viene” (Cfr. Ap. 1,8) allude proprio a questo. Lo si chiama “il Dio che viene” perché Egli eternamente offre grazia e vita, senza stancarsi, senza lasciarsi fermare dall’insensibilità o dal rifiuto dell’uomo ma aprendosi, ogni volta, nuove strade per arrivare al cuore della nostra libertà e liberamente attirarla a Sé. L’accettazione di questa mano tesa e ricca di tanti doni non può ovviamente prescindere, per quanto ci riguarda, dal ristrutturare e riorganizzare tutti i livelli della nostra vita a sua immagine e somiglianza.

Al di là di qualche luogo comune In questo contesto mi preoccupa il rischio che il Vangelo della Misericordia sia ridotto a qualche slogan superficiale e approssimativo. In primo luogo, l’identificazione della misericordia di Dio con una specie di complicità verso il peccato dell’uomo. La misericordia è gratuita iniziativa che previene e perdona il peccato, non certamente ratifica che lo depenalizza e lo annulla, abbattendo ogni confine tra il bene e il male. Chiedere misericordia non significa pretendere l’approvazione divina dei propri errori ma piuttosto invocare con fiducia il perdono dei peccati. La fede nella misericordia non esige da Dio una sorta di legittimazione a priori di tutte le mie scelte. Certamente il Signore ci riconosce sempre e comunque come figli amatissimi per i quali Gesù Cristo ha versato il proprio sangue. Ma proprio perché Egli ci ama non può essere indifferente al male che ci danneggia, ci riduce gli spazi di vita e ci separa da Lui. La seconda preoccupazione riguarda l’insistenza ricorrente sul compimento delle cosiddette “Opere di misericordia”. Guai a noi se non esprimessimo la vitalità della fede attraverso le opere di misericordia, sia corporali che spirituali. Sono esemplari a questo proposito le iniziative di molte Caritas parrocchiali che cercano di alleviare tante sofferenze e incessantemente educare alla traduzione della fede in opere di amore. Sono il vanto della nostra Diocesi: tante donne e tanti uomini che con il loro umile servizio rendono più credibile agli occhi di tanti il nostro annuncio del Vangelo. Quello che, però, mi sta particolarmente a cuore non è solo il compimento di qualche opera buona in più o in meno quanto piuttosto il collegamento fra la testimonianza della carità e l’esperienza spirituale profonda, a livello personale e parrocchiale, della misericordia ricevuta dal Signore. Se, nella vita della Chiesa, l’esercizio delle buone opere non si radica in una profonda e vissuta immersione nell’oceano della misericordia divina, rischia di durare lo spazio breve di una moda stagionale o di imprigionarci nell’illusione della nostra bravura, svuotando del marchio evangelico tutto il movimento che cerchiamo di suscitare. La missione della Chiesa, mossa dallo Spirito Santo, è trasmettere ciò che ha ricevuto, anzi porsi in costante atteggiamento di ricevere e metabolizzare il più possibile quanto è chiamata a condividere e distribuire.

 Educati alla misericordia

Messaggi di alto profilo e pertinenti, autorevoli considerazioni su questi temi sono ampiamente in circolazione e possono facilmente essere reperiti attraverso tanti canali. Per la nostra concreta vita diocesana serve, in primo luogo, interrogarsi e riflettere circa la trasposizione sul piano pastorale e operativo nella vita delle nostre comunità parrocchiali dell’annuncio della misericordia, a immagine del quale esse dovrebbero essere continuamente riplasmate e riconfigurate. Nel vissuto della Chiesa, oltre alla custodia e alla fedele trasmissione dei grandi contenuti della fede, deve essere permanente e prevalente la preoccupazione “educativa”, circa le modalità con cui essi possono incarnarsi e prendere vita dentro la coscienza e la prassi del popolo cristiano, attraverso adeguate proposte della comunità. È ovvio che la celebrazione del Giubileo passa anche attraverso lo svolgimento di vari eventi a dimensione parrocchiale, diocesana e di Chiesa universale ma non può ridursi ad essi. Il primato della misericordia non è, infatti, una moda transitoria né un pretesto occasionale, una specie di parola d’ordine o di titolo programmatico intorno a cui aggregarsi, esaurito il quale, sotto col prossimo! Come fanno le case di moda, le fabbriche di automobili e le catene commerciali. Se, veramente, la misericordia è il cuore del Vangelo perché è il cuore di Dio, essa deve installarsi e radicarsi in modo tale da ridefinire e riorientare stabilmente la mentalità e la prassi del popolo cristiano. Il Giubileo: evento straordinario perché l’ordinario essenziale della rivelazione cristiana si iscriva sempre più nella pastorale e nella vita quotidiana delle nostre comunità. Il vero Giubileo della misericordia per i ragazzi consisterà nell’aiutarli a scoprire nell’amore di Dio il fondamento e la garanzia della vita come dono bello da accogliere con gioiosa responsabilità. Per i giovani, vivere il Giubileo significherà individuare ulteriori risorse di speranza per accettare le sfide di una società non di rado chiusa e selettiva nei loro confronti. Le famiglie vivranno il Giubileo riscoprendo la misericordia di Dio non solo per risolvere situazioni dolorose e difficili in cui possono trovarsi ma soprattutto imparando ad attingere dal cuore di Dio il segreto di un amore nunziale fedele e fecondo. Gli ammalati si attendono dal Giubileo un supplemento di fiducia per abbandonarsi alla volontà di Dio, come Gesù sulla croce. Chi, meglio della Parrocchia, può aiutare tutti costoro a percepire e appropriarsi di questi semi di grazia e di futuro? Ecco il Giubileo concreto, permanente, efficace nel quotidiano delle nostre comunità, oggi, domani e sempre. Tutto il resto, senza queste forme concrete di incarnazione nell’ordinario, sarebbe solo clamore e polverone.

“Viscere di misericordia per questo popolo”

Espressioni di questo tipo attraversano la Bibbia da cima a fondo, per descrivere la sorgente dell’atteggiamento permanente del Signore verso Israele e l’umanità. In particolare, si fa riferimento a questa radice relativa a una connotazione “viscerale” della misericordia, per indicare la reazione di Gesù davanti alle grandi folle che lo seguono nel deserto e che appaiono ai suoi occhi “come pecore senza pastore” (Cfr. Mc. 6,34). Egli si pone in rapporto con questa muta, implicita invocazione della gente, mettendosi a “insegnare loro molte cose” (Cfr. Mc. 6,34) e provvedendo al loro nutrimento con la moltiplicazione dei pani e dei pesci. È un episodio chiave della vita di Gesù, riportato da tutti i Vangeli, che rivela la sua sollecitudine verso gli uomini di ieri e di oggi, nel segno di un dono singolarmente espressivo, che si presta ad essere riletto e reinterpretato su vari piani e molteplici registri: provvista di cibo, figura dell’Eucaristia, offerta di salvezza, anticipo del dono totale di Sé. Colpisce in questo racconto, tutto incentrato sulla maestosa autorevolezza del Figlio dell’uomo, una specie di strategia per un coinvolgimento più ampio possibile dei Discepoli. Verso la moltitudine, Gesù agisce in prima persona ma non da solo, facendosi personalmente carico di una sorprendente iniziativa ma, comunque, facendo grande affidamento su mediazioni e collaborazioni. Prende sul serio la preoccupazione dei discepoli di non rimandare via digiune tutte quelle persone. Stimola i suoi perché provvedano essi stessi a risolvere la situazione, pronto a tirare fuori dalla manica l’asso vincente solo quando essi si rendono conto di non disporre di mezzi adeguati per provvedere all’emergenza. Allorché i discepoli si arrendono alla forza dei numeri, li rimette di nuovo in gioco, prima nel far sedere ordinatamente la folla “in gruppi di cento e cinquanta” (Cfr. Mc, 6,40)” e, successivamente, nel distribuire a tutti i pani e i pesci (Cfr. Mc. 6,41).

Per i figli della Chiesa è motivo di sincero vanto, oltre che di grande responsabilità, essere coinvolti in questo servizio di diffusione capillare, fino all’ultima persona presente e fino all’ultima briciola di pane avanzata, del dono scaturito dalla viscere di misericordia di Gesù. Come se il segno della misericordia possa essere riconosciuto e ricevuto solo attraverso la mano di altri uomini, coinvolti nella medesima, sconvolgente esperienza. Oggi non meno di ieri, qui da noi non meno che nell’Israele di allora, le persone e le comunità possono essere raggiunte e nutrite di misericordia solo attraverso il servizio di sorelle e fratelli raggiunti e sorpresi dalla medesima grazia. Lo strumento per conseguire questo necessario obiettivo non può essere altro che l’attività delle nostre Parrocchie. Su questo punto il tema del Giubileo si collega e si salda con tutta naturalezza con il nostro progetto pastorale “Mosaico di Pietre Vive”. Edificare la Parrocchia nel segno della misericordia (come sempre nuova esperienza dell’amore di Dio, da approfondire e condividere tra fratelli) è l’obiettivo e la speranza che muove la nostra Diocesi ormai da diversi anni. Questa conversione alla misericordia, a cui ci richiama costantemente il Papa, consiste proprio nel rimodulare intorno a questo cuore caldo del Vangelo le persone e le relazioni, i messaggi e le strutture, la mentalità e lo stile nelle nostre comunità, perché diventino significative e attraenti con quello che sono oltre che con quello che dicono.

I paradossi della misericordia

Qualcuno potrebbe ritenere autolesionistico o inopportuno dover riconoscere che, dopo oltre duemila anni di cristianità, bisogna ripartire addirittura dal cuore del Vangelo, la misericordia. Mi chiedo da dove, altrimenti, dovremmo ripartire. La fedeltà della Chiesa al suo Signore non può riguardare, in primo luogo, dettagli periferici o secondari. “Rimanete in me”, “rimanete nella mia Parola”, “rimanete nel mio amore”, sono tre espressioni complementari e sinonimiche che ci indicano qual’ è l’essenziale da cui continuamente ripartire. Il dono di un cuore nuovo e di uno spirito nuovo, riplasmati dall’amore e resi capaci di amare, non è forse il miracolo promesso dalSignore alla sua Chiesa per il suo cammino fino alla fine dei tempi? Non possiamo, inoltre, dimenticare che il Vangelo della misericordia (sia come rivelazione del volto di Dio che come indicazione per il cammino dell’uomo), con la sua radicalità esigente e incondizionata, è il primo che rischia di opacizzarsi e di corrompersi, esposto come è alle insidie della mentalità umana e carnale con i suoi compromessi e annacquamenti. Proprio là dove la Parola del Vangelo rischia maggiormente di venire manipolata e diluita in concezioni a misura del semplice buon senso e della mentalità corrente, è necessario concentrare l’attenzione e la vigilanza, risvegliare l’ascolto e l’apertura incondizionata ai paradossi della Rivelazione. Cosa c’è, infatti, di più diverso dagli schemi correnti del pensiero comune di un Dio che si svuota di Se stesso per farsi dono fino alla morte di croce e che ti invita a seguirlo su questa strada nei tuoi modi di vivere e, soprattutto, nel tuo rapportarti al prossimo? Il recupero di queste immagini di Dio e dell’uomo e la loro purificazione rispetto alle caricature a cui sono esposte da parte dello spirito del mondo rappresenta il quotidiano e il necessario “restyling” per una Chiesa che intende riflettere fedelmente la fisionomia del suo Signore.Un Dio caratterizzato dal dono, dall’incessante e paziente ripresa di iniziativa, dalla consegna di Sè senza riserve, la cui verità e la cui gloria consistono essenzialmente nella volontà di salvare. Un Dio in cui giustizia si identifica totalmente con la misericordia. Un Dio comunione trinitaria che si svuota di Sè nell’Incarnazione e si rende presente come Spirito vivificante e santificante che pervade l’universo e abita nell’uomo. Un Dio infinitamente rispettoso per la libertà delle sue creature, Redentore e non seduttore, Padre che desidera rendere adulti i propri figli, Sposo in attesa umile e trepidante del loro “si”. E, al tempo stesso, un uomo che si scopre gratuitamente e unilateralmente sempre amato, invitato, atteso, perdonato, divinizzato e, per quanto gli è possibile, chiamato a muoversi con gli stessi stili e lo stesso metro verso Dio e verso il prossimo. Questo è il Vangelo della misericordia, da cui né un iota né un apice possono essere sottratti (Cfr. Mt. 5,18). Possiamo dire che le nostre comunità cristiane sono plasmate a immagine di questo Dio e sono in azione perché essa si imprima sempre più in ciascuno dei suoi figli? La recezione e la valorizzazione di questo Vangelo della misericordia sono la ragione d’essere della Chiesa, al servizio della quale, con gioiosa gratitudine e umile fierezza, ci gloriamo di essere chiamati anche nel nostro tempo. Con fiducia e assiduità, con responsabilità e speranza, con lucidità ed entusiasmo. Non è, quindi, frutto di uno scrupolo improprio ed eccessivo rivedere e verificare la vita delle nostre Parrocchie nell’ottica della misericordia.

Lo stupore della scoperta

Siamo innanzitutto chiamati a liberare l’annuncio della misericordia di Dio dall’ovvietà dei soliti modelli di predicazione scontati e prevedibili, per suscitare negli ascoltatori lo stupore per la sua bellezza e la sua novità. Pensate che sia solo un sogno poter parlare di Parrocchia come di un dono dell’incessante novità di Dio in mezzo al vecchiume ripetitivo del mondo? Non avete forse vissuto anche voi, nelle vostre comunità, l’incontro col Vangelo come annuncio attuale e pertinente, Parola detta proprio per voi, messaggio che vi ha risvegliato e vi ha aperto gli occhi su uno scenario diventato improvvisamente bello e possibile? Il Dio di Mosè e dei Profeti, il Dio di Gesù Cristo nella testimonianza di Paolo e degli Evangelisti è sempre più grande e più vivo di come ci era stato annunziato fino a ieri e di come lo avevamo immagazzinato nell’archivio della nostra memoria. Non c’è bisogno di inventarci un’altra religione per accendere la curiosità e il desiderio delle persone. Basta non stancarsi di scavare e di assaporare, a livello individuale e comunitario, le ricchezze della Parola di Dio e della grande Tradizione spirituale della Chiesa. E nel proclamare queste meraviglie, la questione decisiva non è che si scelgano le parole adatte quanto piuttosto che esse provengano dalla profondità e autenticità di una vera esperienza interiore. Siamo proprio sicuri che il Dio che solitamente annunciamo nelle nostre Parrocchiesia proprio quello vivo e vero, quello che ha incantato i santi, sedotto i mistici, sollecitato i missionari, sostenuto i martiri, ispirato gli artisti, convertito i peccatori? La Diocesi sta riorganizzando i percorsi educativi per i ragazzi e i giovani. Sta proponendo per gli adulti itinerari di educazione permanente nella fede e alla vita comunitaria. Si rallegra per un rinnovato slancio nella formazione alla preghiera e in altre analoghe iniziative perché i fedeli possano accedere alla presenza del Signore. Non possiamo rallentare o annacquare l’insistenza su queste priorità. Non dobbiamo, però, nasconderci che l’efficacia di tali iniziative dipenderà dalla familiarità reale con il volto splendido e misterioso del Dio vivente, rivelato in Cristo e interiorizzato dallo Spirito Santo, se le comunità cristiane sapranno riacquisirla, animate dai loro Pastori. Il cammino della Chiesa è vivo quando diviene occasione di continua scoperta del Mistero di Dio che rende nuovo il quotidiano dell’uomo. E la misura della scoperta è data dallo stupore che illumina la mente e sospinge il desiderio ulteriormente in avanti.

Assimilare il dono

La Parrocchia, però, non è solo una scuola né, tantomeno, una azienda specializzata in marketing o in pubblicità. È il Corpo vivo di Gesù Cristo, che trasmette la propria vitalità a ciascuna delle sue membra, purché si approprino personalmente e integrino nel proprio vissuto quanto viene loro proposto. Il tesoro della Chiesa non consiste solo in una dottrina rivelata da far conoscere ma in una vera e propria esperienza di vita da comunicare, perché ogni creatura ne sia riempita e ne viva. Il volto della misericordia divina, l’amore di Dio fatto persona che si fa presente in ciascuno si chiama Spirito Santo. Pur con tanti limiti e imperfezioni, non c’èdubbio che, soprattutto rispetto al passato, lo spessore qualitativo della predicazione cristiana e della catechesi, ai nostri giorni, si è notevolmente affinato. Speriamo di poter dire lo stesso anche della nostra capacità di arrivare diritti e diretti al cuore di ogni ascoltatore. Molte omelie e catechesi sono oggi sviluppate su un livello molto più “professionale” di una volta. Ma tutto questo produce nelle coscienze del popolo di Dio un più profondo spessore di esperienza spirituale e di vicinanza al Signore? È presente nelle nostre Parrocchie un processo di assimilazione cosciente e progressiva, di metabolizzazione vitale, a misura delle persone e dei loro vari percorsi di vita, del Vangelo della misericordia? Fra le varie proposte che circolano per l’anno del Giubileo non manca l’invito a ritornare come massa del popolo cristiano al Sacramento della Confessione. Organizziamo, si propone, eventi comunitari e ripetuti di questo tipo. Tutto questo è molto bello: attendevamo da tempo la riscoperta del Quarto Sacramento. Ma, per favore, non facciamone degli eventi separati dalla vita ordinaria del popolo di Dio, tanto per riempire il calendario dei programmi. Strappiamo l’anno giubilare per ciascuna delle iniziative che lo caratterizzano dalla logica dell’una tantum. Non è forse “un anno di grazia” (Cfr. Lc. 4,19) tutto il tempo della Chiesa? Lo stupore provato davanti all’annuncio accende la speranza dell’appropriazione personale della Parola, ascoltata e ricca di risonanze nel firmamento interiore della persona. Suscita vitalità e sollecita il passaggio di tutto questo nel contesto vivo delle abitudini e delle priorità personali. Intorno alla novità di questa grazia, tutta la vita può diventare risposta e sequela. A questo punto si può parlare di conversione: la scelta libera di esporre tutto se stesso alla luce del volto misericordioso del Padre, attendendosi da Lui l’orientamento per i propri percorsi di vita.

L’esperienza della misericordia diventa viva quando penetra nel quotidiano, nel circuito delle azioni e reazioni, sul piano degli equilibri interiori e dei rapporti col prossimo. Oltre che parole e istruzioni, oltre alla grazia dei Sacramenti, dalla comunità cristiana ci si aspetta anche altro. La persona rimarrebbe in mezzo al guado se non si sentisse accompagnata da una mano sapiente e delicata nella fase della assimilazione e sedimentazione della Parola e della sua collocazione nel cuore della propria coscienza e nel concreto del proprio vissuto. Solo così la misericordia si cala efficacemente dentro la vita di ciascuno. In questo processo acquista tutto il suo significato il sacramento della riconciliazione. Si riscopre il senso della direzione spirituale. A questo punto si aprono per i Sacerdoti e gli educatori infinite opportunità per tenere acceso il fuoco dello Spirito nel cuore dei credenti, capace di suscitare il rinnovamento e la conversione personale e comunitaria. Riuscirà la nostra Chiesa a proporre percorsi commisurati alle esigenze delle singole persone, idonei a formare cristiani adulti, coscienze libere e fedeli, donne e uomini veramente “nuovi” in Cristo?

La gioia della fraternità

Pur rimanendo imprescindibile la dimensione personale della fede, è solo all’interno della comunità cristiana che essa cresce e matura verso la sua pienezza. L’abbraccio avvolgente della misericordia di Dio ci raggiunge anche attraverso gli echi e i riflessi che la Parola e la Grazia suscitano in coloro che appartengono alla nostra stessa comunità cristiana, la Parrocchia. A sua volta, è proprio nei loro confronti che si esplicano e si manifestano le primizie della vita nuova che l’irruzione della misericordia di Dio produce in noi. “Nessuno vive per se stesso” (Cfr. Rm. 14,7) La trasformazione delle nostre Parrocchie da entità giuridiche legalmente riconosciute ad autentico Corpo di Cristo si realizza nella misura in cui circola fra le varie membra lo scambio umile e sincero della storia nuova che il Signore compie con i suoi figli. Un processo di osmosi che permette a ciascuno di ricevere e restituire fecondità spirituale, in un movimento reciproco di dare e avere, riflesso terrestre della vita del Dio Uno e Trino che è misericordia, dono e restituzione, nel suo essere divino, prima ancora che nel suo operare dentro la storia. La fatica che proviamo a vivere la Parrocchia come comunità non credete che dipenda anche dalla nostra superficiale e approssimativa esperienza di unione con Dio? Se non ci scambiamo la gioiosa novità dell’incontro con Lui, abbiamo ben poco da dirci e ancora meno da condividere. Viceversa, perché fatichiamo così tanto ad andare in profondità nella vita spirituale? Non può dipendere anche dalla difficoltà a spalancare porte e finestre al soffio dello Spirito che ci arriva anche attraverso i doni ricevuti e incarnati nell’esistenza di coloro che camminano insieme a noi? Quest’anno giubilare può rappresentare un’opportunità in più per aggregare le “membra disgiunte” delle nostre Parrocchie, avvicinandoci un pò di più gli uni agli altri nell’ascolto fraterno e nella condivisione reciproca delle nostre vite.

Con quale coerenza, altrimenti, proclameremmo la misericordia, mentre viviamo nei recinti delle nostre Parrocchie rimanendo estranei gli uni agli altri, giudicandoci ed escludendoci, oscillando fra ricerca di posizioni di prestigio e totale indifferenza verso la vita della comunità? L’ambito ecclesiale dove sperimentare la misericordia, ricevendola e condividendola, non è solo quello parrocchiale ma anche quello diocesano, dove i rapporti sono più a distanza ma non per questo meno autentici e veri. Dobbiamo imparare, come Diocesi, a camminare meglio insieme, lasciandoci arricchire dagli incontri con i fratelli e portando, al tempo stesso, il nostro contributo all’edificazione della casa comune. Oltre che con la buona volontà e la partecipazione alle varie assemblee, dove peraltro la presenza è sempre molto alta, si può pensare ad organismi di dialogo e collaborazione che rendano ancora più effettiva ed efficace la nostra fraternità. Il Signore sta benedicendo la vita della nostra Chiesa particolare, dove il senso di appartenenza si va sempre più diffondendo e approfondendo. Per questo ho proposto di dare vita, nel contesto del Giubileo della misericordia, al Consiglio Pastorale Diocesano e alla Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali. Il primo sarà un organismo rappresentativo di tutte le Parrocchie, ciascuna delle quali designerà un membro, chiamate a collaborare col Vescovo e con tutte le altre comunità nella “lettura” delle varie situazioni che stiamo vivendo e nell’elaborazione delle linee di fondo del nostro comune cammino. Il secondo organismo nasce dal desiderio di valorizzare le ricchezze delle varie Associazioni e Movimenti ecclesiali presenti nel nostro territorio a servizio del Regno di Dio, a partire da una crescita nell’inserimento reale e fraterno dei singoli e dei gruppi nell’unico Corpo di Cristo che sussiste nella Diocesi e nelle Parrocchie. Chiediamo al Signore di accompagnarci in queste nuove avventure.

La profezia della testimonianza

A questo punto si ripresenta il tema delle “Opere di misericordia”. A partire dalla scoperta personale attraverso una profonda esperienza interiore, passando attraverso la condivisione comunitaria, della grazia della misericordia, lo Spirito Santo non può non condurci verso la testimonianza esterna, come fioritura e fruttificazione incontenibile di un tesoro che deve essere distribuito a piene mani. “L’amore di Cristo ci spinge…” (Cfr. 2 Cor. 5,14). Se non si esprime anche attraverso segni visibili, la misericordia di Dio rimane soffocata nelle anime e nelle sagrestie. In questo ambito, oltre che alla buona volontà dei singoli e delle Parrocchie, permettetemi di fare riferimento, con fiducia e gratitudine, all’attività della nostra Caritas diocesana. Con assiduità metodica e presenza capillare nel territorio, la Caritas rappresenta per la Diocesi una risorsa fondamentale, proprio per garantire l’autenticità del nostro essere Chiesa. Il Giubileo della misericordia ci stimola non solo ad una rinnovata sensibilità individuale su questo punto ma anche a una modalità più ecclesiale di gestirlo e promuoverlo. Può sussistere una Parrocchia, come reale esperienza di Chiesa, se non si preoccupa di affiancare all’annuncio del Vangelo la testimonianza della Carità? È vero che le situazioni sono molto diverse e che per le Parrocchie più piccole è difficile reperire volontari, mezzi e strutture. La Caritas diocesana esiste proprio per affiancare tutte le comunità, aiutando ciascuna a maturare nella educazione delle coscienze e nella realizzazione, dentro il loro ambiente e secondo le loro possibilità, di segni della misericordia di Dio verso chi è nel bisogno. Non esiste un unico modello di Caritas parrocchiale! Se non è possibile fare tutto, non si può forse iniziare facendo qualcosa?

Non tanto come imposizione dall’alto ma come esigenza intrinseca di gridare con la vita il Vangelo gustato e condiviso, anche nelle più piccole comunità. L’iniziativa dell’accoglienza delle famiglie imigranti, di cui alcune Parrocchie si sono fatte volontariamente carico, rappresenta un segno di grazia che può stimolare la generosità di tutti, in questa o in altre direzioni.

“Perché eterna è la sua misericordia”

Quali e quanti frutti produrrà questo Giubileo della misericordia? Con quale metro potremo valutarli? Lasciamo che sia il Signore a verificare e giudicare. Per noi è sufficiente lavorare nella sua vigna, a servizio dei suoi piani e secondo i suoi tempi. Davanti a Lui mille anni sono come un giorno e un giorno come mille anni. Non sarà il moltiplicarsi degli eventi esterni, soprattutto di quelli di massa, a garantire l’efficacia alle nostre speranze, investite in questo Giubileo. Sarà, piuttosto, qualche piccolo passo in avanti, in qualità e profondità, di tutte le dimensioni della nostra vita di Parrocchia. La “sua” misericordia non è questione di un anno speciale: è eterna, come il suo cuore di Padre. Non appartiene all’eccezionale e al clamoroso. Deve penetrare e illuminare il vissuto quotidiano dei cristiani e delle loro comunità. Nasce come la più profonda verità del Vangelo e tende a trasfigurare tutto e tutti, a immagine di Dio. Animati dal proposito di mantenere un passo assiduo e fedele, chiediamo al Signore la grazia di continuare a camminare insieme. In questo anno giubilare e in tutti gli altri che vorrà donarci. Con l’intercessione di Maria Santissima, la Madre di Gesù che, nei lunghi anni di Nazareth, il senso profondo della misericordia di Dio l’ha vissuto nel quotidiano, più e meglio di chiunque altro.

Buona Pasqua a tutti † ROMANO ROSSI Vescovo di Civita Castellana

10 febbraio 2016, Mercoledì delle Ceneri

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